La volontà di credere

Dedicato a C. S. Peirce, il saggio che dà il titolo a questa raccolta sostiene l’ipotesi che la ragione non è l’unica né la più importante fonte delle nostre credenze, influenzate anche dalla parte non intellettiva della natura umana.

La società capitalistica avanzata e, ancora di più, il capitalismo cibernetico attuale, non faticano a riconoscersi nel principio di base del pragmatismo, cioè la piena attuazione del nichilismo previsto da Friedrich Nietzsche. Nessuna forma di organizzazione può prescindere dai fattori psicologici, come la fede, nella riuscita di un’impresa. Non è possibile separare fattori psicologici, economici, sociologici e politici nei movimenti di massa, tentare di ridurre un fattore all’altro; in un momento di crisi sociale, l’analisi più oggettiva diventa una forza storica soltanto se accompagnata da una fede nella riuscita dell’azione. Una fede che può essere confermata o smentita da quello che accade, ma che è un motore di non poca importanza. Una fede, cioè una “visione del mondo” e una “visione di come dovrebbe essere il mondo”. Il pragmatismo punta decisamente oltre «idee, concetti, teorie sono solo schemi o progetti di azione, e che quindi sono veri solo quando ed in quanto hanno successo». Non si tratta di una distorsione critica di chi sia ostile per principio al pragmatismo; William James scrive, infatti: «Noi non crediamo a tutti quei fatti che non ci servono».

William James (1842-1910), fratello maggiore del noto scrittore Henry, ebbe la fortuna di crescere in molte città, da New York a Londra, da Ginevra a Parigi, da Bonn a Newport, studiando arte, chimica e infine laureandosi in medicina nel 1869. Considerato uno dei più importanti filosofi americani, fu anche uno dei fondatori della psicologia funzionale.

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